Fabio Minazzi
Direttore Scientifico del Centro Internazionale Insubrico
Fabio Minazzi (Varese 1955), ordinario di Filosofia teoretica dell’Università degli Studi dell’Insubria, è direttore scientifico del Centro Internazionale Insubrico “C. Cattaneo” e “G. Preti”, nonché direttore della rivista «Il Protagora». Ha dedicato a Geymonat numerosi studi e due monografie (La passione della ragione, Thèlema-USI 2001 e Contestare e creare, La Città del Sole 2004) e ha promosso alcuni volumi di dialogo con Geymonat (Le ragioni della scienza, Laterza 1986; Filosofia, scienza e verità, Rusconi 1989; Dialoghi sulla pace e la libertà, Cuen 1992; La ragione, Piemme 1994). Promotore e socio fondatore dell’«Istituto L. Geymonat» di Milano, ne è stato Segretario e Presidente; attualmente è socio effettivo dell’Académie Internationale de Philosophie des Sciences di Bruxelles. Autore di 28 monografie, ha curato più di cinquanta volumi e ha scritto 300 saggi, studi e note nei quali ha approfondito la storia del razionalismo critico europeo, traducendo anche volumi di Popper (1998) e Petitot (2009). Presidente del Corso di Laurea (triennale) in Scienze della Comunicazione e del Corso di Laurea (magistrale) in Scienze e Tecniche della Comunicazione
Nato a Varese l’8 novembre 1955 da Bruno Libero e da Esther Antonietta Bianchi (rispettivamente impiegato e casalinga), dopo gli studi elementari e medi, ha conseguito la maturità scientifica con il massimo dei voti nel locale liceo statale. In questi anni ha trascorso un’infanzia e una giovinezza felici, potendo stare sempre a stretto contatto con la natura e vivendo spesso all’aria aperta, nei campi e nei boschi, praticando diversi sport, alcuni a livello agonistico (nuoto e calcio). Dalla madre ha tratto un profondo amore per la natura, la cultura, la storia e l’arte, mentre dal padre ha derivato tenacia nel lavoro e rispetto dei propri compiti. Suo padre iniziò da giovanissimo a lavorare come operaio, per poi diventare, grazie a studi serali, ragioniere, essendo peraltro uno sportivo ed un atleta di valore che ha anche giocato, come mezz’ala, in diverse squadre (tra cui l’InterNapoli). Nel corso della seconda guerra mondiale ha inoltre partecipato con coraggio, distinguendosi in alcuni eroici episodi, alle quattro giornate di Napoli. Era del resto figlio di uno dei primi socialisti di Varese, uomo integerrimo, sindacalista e fondatore della sezione locale della FLM, che durante la dittatura fascista non ha preso la tessera, non potendo quindi lavorare, pur essendo un operaio specializzato. Questo suo nonno Enrico, che organizzò infine le forze partigiane socialiste a Varese, subì negli anni Trenta diversi pestaggi da parte dei fascisti, a causa delle quali morì pochi anni dopo la Liberazione, prima della sua nascita. Come del resto era già morto precedentemente, per un brutale pestaggio dei fascisti, il suo bisnonno, un carrettiere anarchico varesino. Minazzi da giovane fece tuttavia in tempo ad ascoltare molte persone che avevano conosciuto suo nonno Enrico e che ne conservavano, con grande stima, un preciso ricordo quale uomo di sicuro e saldo riferimento. Il nonno materno Angelo discendeva, invece, da una nobile, ricca e storica famiglia, dotata di un suo stemma, i Bianchi di Velate (e poi del Sacro Monte), il cui albero genealogico risale fino al XIII secolo, che furono proprietari, cavallo tra il XIX e il XX secolo, di una famosa e rinomata ditta di campane. Suo nonno Angelo era stato tuttavia diseredato da questa famiglia a causa del suo innamoramento per una donna del contado gallaratese, Leopolda Carlotta Turri di Crugnola. I due giovani furono così costretti a sposarsi, fuggendo e sfidando apertamente il divieto dei rispettivi genitori: tornarono a Varese solo dopo la morte della madre di Angelo. Minazzi non conobbe neppure questo nonno materno, ma si legò invece, con un profondo legame di affetto, con la nonna materna Carlotta che ha frequentato assiduamente fino alla sua scomparsa.
Dopo la formazione di base si è iscritto a Filosofia all’Università degli Studi di Milano, dove si è laureato il 20 giugno 1983, con 110 e lode, in Filosofia della scienza con una tesi, in due tomi, dedicata all’epistemologia storica-critica di Giulio Preti, con particolare riferimento al suo esordio filosofico. Il secondo volume di questo impegnativo lavoro (la parte storico-archivistico-bibliografica) è stato poi pubblicato in un libro apparso nella collana dalpraiana di filosofia nel 1984. Durante il suo “garzonato universitario” i suoi dioscuri sono stati due Maestri (e partigiani) come Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra (quest’ultimo, da contro-relatore, ha puntualmente seguito la stesura della sua tesi di laurea, mentre il relatore ufficiale, Giulio Giorello, si dava alla latitanza sistematica). Durante il periodo universitario ha potuto seguire anche le lezioni di altri insigni studiosi della “scuola di Milano”: quelle di Enzo Paci, Remo Cantoni, Dino Formaggio, Emilio Bigi, Franco Fergnani, Carlo Sini, Corrado Mangione, Gianni Micheli, Andrea Bonomi, Emilio Agazzi e di alcuni altri allievi, più giovani, di Geymonat e Dal Pra, frequentando anche i corsi della Facoltà di scienze, in particolare di Matematica e Fisica, sostenendo, come richiedeva Geymonat per laurearsi in Filosofia della scienza, gli esami e lo studio di Analisi matematica, Logica Matematica, Algebra e Fisica. Durante gli anni universitari ha inoltre partecipato, assai attivamente, all’attività civile di “un piccolo partito dalle grandi ragioni” come Democrazia Proletaria, cui è rimasto iscritto fino alle dimissioni di Mario Capanna da suo segretario nazionale (1987), svolgendo sempre la sua attività nella sezione di Varese. Ma in questo periodo, come peraltro aveva già iniziato a fare durante gli anni liceali, oltre a realizzare un’intensa partecipazione politica, ha svolto anche diverse altre attività manuali, lavorando gratuitamente, come garzone, presso alcune specifiche realtà. Per esempio aiutando alla costruzione di una casa, edificata in proprio, da un singolare e generoso pompiere dell’Euratom di Ispra, oppure frequentando, sempre gratuitamente, un vivaio di piante varesino (legandosi soprattutto ad un anziano e straordinario vivaista come Tamborini). Successivamente, fino al termine degli studi universitari, lavorò, essendo però retribuito, in vari altri settori: svolgendo così l’attività di “totalizzatore” (e, successivamente, anche di cassiere) presso gli sportelli delle scommesse dell’Ippodromo di Varese (1976-1984), lavorando per una stagione invernale, come boscaiolo (1974-75), e, per un’altra stagione invernale, con i librai ambulanti pontremolesi (1973-74, legandosi di amicizia soprattutto con il loro Presidente, Giuseppe Iseppi). Durante alcuni periodi estivi ha anche partecipato alla realizzazione dei alcuni notiziari di una delle prime radio libere varesina, la storica Radio Varese, “l’unica radio libera dell’occidente occupato”. In questi stessi anni, dall’adolescenza in poi, ha inoltre sviluppato un rapporto di profonda, lunga e affettuosa amicizia con un contadino e uno straordinario uomo di montagna della Val Veddasca come Aldo Sartorio (e sua moglie Candida Rocchinotti) di Graglio, coi quali, nel corso di molti anni, vivendo stabilmente in Forcora nei mesi estivi, ha collaborato ed interagito variamente (per esempio aiutando il marito a recuperare delle beole in montagna, lavorando i sassi, svolgendo vari lavori di potatura, recupero edilizio, etc., etc.). Grazie a queste diverse esperienze di lavoro manuale, svolte a stretto contatto con diverse tecniche operative e con il mondo sociale più umile, la sua stessa riflessione filosofica si è arricchita di una componente fondamentale e significativa che lo ha indotto a prestare sempre una particolare attenzione proprio alla dimensione del lavoro manuale e alla storia della tecnologia in relazione allo sviluppo del pensiero scientifico (secondo un interesse che, peraltro, si era già manifestato in occasione di un impegnativo restauro di una moto, una Bianchi 500 degli anni Trenta, che gli era stata regalata, negli anni del liceo, dal Sig. Sartorio).
Nel corso degli anni universitari Minazzi promuove ed organizza, insieme a uno studente-operaio come Michele Massafra, iscritto anche lui a Filosofia, presso la Biblioteca Civica di Varese – nel cui Comitato direttivo era entrato a far parte come utente eletto della biblioteca varesina, grazie alla normativa regionale che prevedeva, allora, una gestione partecipata e democratica di questi enti – i Seminari Varesini di Filosofia, durati, ininterrottamente, dal 1979 al 1984. Questi seminari registrarono, fin dall’inizio, un enorme successo di pubblico e divennero un punto di riferimento per l’attività culturale e civile varesina. Con questa iniziativa Minazzi invitò a Varese una cinquantina di intellettuali, filosofi e studiosi di vario e contrastante orientamento teorico, filosofico ed epistemologico, creando una partecipata e singolare esperienza di alta e ricca divulgazione, scientifica e culturale, che ben presto fu considerata (per esempio dall’edizione italiana de “Le scienze”) un positivo e interessante modello di riferimento nazionale (ad un bilancio complessivo di questa esperienza ha poi dedicato il volumetto Alla ricerca del Képos, apparso nel 1992 con una Prefazione di Geymonat, presso la storica Editrice Magenta di Varese). Proprio a seguito di questa intensa attività fu anche tra i primi ideatori e promotori della fondazione dell’«Istituto Ludovico Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della Scienza e della Tecnica», costituito a Milano, nell’ottobre del 1985 e presentato ufficialmente a Varese, quando, a coronamento della precedente attività dei Seminari Varesini di Filosofia, fu da lui organizzato (nelle vesti di responsabile del Consiglio direttivo della locale Università Popolare, con altri collaboratori), un importante e storico convegno internazionale, in onore di Geymonat, sulla rinascita della filosofia della scienza in Italia nel corso del Novecento, i cui atti furono editi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1987. La doppia curatela con cui apparve questo volume fu tuttavia frutto di un grave atto di prevaricazione nei confronti di Minazzi che aveva svolto tutto il lavoro redazionale di progettazione, realizzazione, editing e di cura finale di questo libro. Pertanto Minazzi decise senz’altro di chiudere ogni rapporto con chi, da associato universitario, gli rubava, in tal modo, il suo lavoro che costituiva l’unica ricchezza di cui poteva allora disporre.
Minazzi, subito nominato segretario scientifico dell’«Istituto L. Geymonat», ha poi ricoperto ininterrottamente, per un decennio, questa carica, potendo in tal modo frequentare e discutere pressoché quotidianamente con Geymonat di differenti tematiche, realizzando alcuni comuni lavori (una parte di questi suoi dialoghi con Geymonat è poi confluita nel volume Dialoghi sulla pace e la libertà del 1992, edito a Napoli, col quale Minazzi ha cercato di reagire alla scomparsa di questo suo Maestro). In qualità di segretario dell’«Istituto L. Geymonat», Minazzi ha comunque promosso, molteplici iniziative, conferenze, seminari, lezioni, convegni, dibattiti e vari simposi, nazionali ed internazionali (in Italia e all’estero, per esempio a Napoli, Parigi e Zurigo, oltre che a Milano), senza peraltro mai trascurare un continuo e diretto contatto col mondo della scuola (in particolare quella della provincia di Varese, salvaguardando anche, al contempo, lo straordinario Archivio (e la connessa Biblioteca) di Geymonat che l’epistemologo torinese aveva donato a questo suo Istituto. Successivamente, da Presidente di questo Istituto (nel 1998), dopo la scomparsa di Geymonat, Minazzi ha anche fatto in modo che questo importante archivio per la filosofia della scienza italiana ed europea fosse doverosamente inventariato, scientificamente tutelato e conservato nella sua integrità, onde evitare una sua dispersione, impedendone anche ogni manomissione (il che lo mise in contrasto con la vedova di Geymonat, oltre che con alcuni allievi di Geymonat, i quali volevano ritirare e distruggere alcuni loro documenti che l’epistemologo torinese aveva voluto conservare). Del resto questi contrasti con alcuni dei più giovani allievi di Geymonat, in una certa misura, non devono stupire più di tanto, perché sono forse tipici di una certa e ben nota “gelosia” di scuola. Basterebbe per esempio tener presente, tanto per cambiare scenario, che anche Mario Dal Pra, prima ancora che Minazzi si fosse laureato, volle inserirlo nella redazione della sua «Rivista critica di storia della filosofia», suscitando in tal modo risentimenti e resistenze che si possono agevolmente immaginare. In ogni caso Minazzi ha comunque fatto parte, ufficialmente, di questa rivista dal 1983 fino al 1994, quando fu improvvisamente “espulso” da un allievo dalpraiano come Enrico Rambaldi, a causa di una sua grave “colpa”: aver collaborato – per volontà di Dal Pra (che, evidentemente, aveva avuto il torto di averlo preferito a Rambaldi) – alla realizzazione, dialogata, della sua autobiografia intellettuale, consegnata alle pagine del volume Ragione e storia (apparso nel 1992, una settimana dopo l’improvvisa scomparsa di Dal Pra). Nel 1990 Evandro Agazzi volle inserire Minazzi nel Comitato di redazione della sua rivista «Epistemologia» (nella quale Minazzi figura ancor oggi, essendo diventato responsabile della rubrica delle recensioni). Per completare questo rapido giro d’orizzonte concernente i periodici scientifici e di studio, basti aggiungere che Minazzi in questi anni fu anche cooptato, grazie ad Emilio Agazzi, nel Comitato redazionale di «Marx centouno» (una riviste teorica dell’area di DP, in cui figurò dal 1990 fino alla chiusura di questo periodico, realizzatasi nel 1994). In ogni caso, quando Minazzi perse improvvisamente entrambi i suoi due maestri, a cavallo tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 (Geymonat è infatti morto nel novembre del 1991, mentre Dal Pra è scomparso nel gennaio del 1992), molti colsero proprio questa sua non facile situazione per realizzare alcuni loro desiderata, sfruttando pienamente il potere accademico di cui allora godevano (conseguito grazie al generoso appoggio dei loro stessi maestri…). Grazie a queste felicitanti esperienze, Minazzi imparò, sulla propria pelle, a misurare la radicale differenza spesso sussistente tra Maestri ed allievi.
Anche per meglio tutelarsi da queste prevedibili e tradizionali vessazioni accademiche, Minazzi ha subito cercato di rendersi economicamente autonomo, mirando ad una posizione che gli consentisse di vivere del proprio lavoro, onde poter continuare i suoi studi in piena libertà. Pertanto subito dopo la laurea (conseguita con grave tardanza anche e soprattutto per queste sue molteplici e coinvolgenti attività), Minazzi ha immediatamente iniziato ad insegnare nelle scuole della provincia di Varese svolgendo, dal 1983 al 1986, varie supplenze (di italiano nelle medie inferiori, di lettere, latino, filosofia e storia nei licei statali e nell’anno integrativo serale delle magistrali, lavorando anche, per un intero anno scolastico, in un liceo privato “laico”, potendo così conoscere, di prima mano, la profonda corruzione – assai generalizzata, con poche e rarissime eccezioni – di queste pseudo-scuole che godevano, tuttavia, di varie protezioni istituzionali presso il provveditorato varesino del tempo). Nel 1986 ha infine vinto, col massimo punteggio, il concorso ordinario a cattedre, per esami e titoli, per l’accesso ai ruoli provinciali del personale docente della Scuola Media Inferiore per la classe di concorso in Materie Letterarie, indetto l’anno precedente. Così dall’anno scolastico 1986-87 ha iniziato ad insegnare, come titolare di Italiano, Storia, Educazione civica e Geografia, presso la Scuola Media di Albizzate, nella provincia di Varese. In tal modo, per dirla con Geymonat, il suo “problema materiale” era finalmente risolto. L’anno successivo, a conclusione dei paralleli concorsi ordinari, sempre per esami e titoli, per le Scuole Medie Superiori, indetti analogamente nel 1985, Minazzi è risultato nuovamente vincitore, sempre col massimo punteggio, in tutti e tre i concorsi cui aveva diritto e ai quali si era naturalmente presentato, ovvero la classe XLIII di Filosofia, Scienza dell’Educazione e Storia, la classe XLII, Filosofia e Scienza dell’educazione e, infine, la classe LXVI, Materie letterarie negli Istituti d’Istruzione secondaria di secondo grado. Pertanto a fronte di questo esito concorsuale, dal 1987 iniziò ad insegnare stabilmente Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico di Gavirate e quello di Varese (liceo varesino in cui aveva studiato e in cui passò poi, definitivamente, l’anno successivo), optando, per sua scelta culturale, di svolgere questa sua attività storico-filosofica sempre presso i Licei scientifici.
Entrando stabilmente nel mondo della scuola Minazzi non dimenticò l’impegno civile connesso col suo progetto filosofico e culturale neorazionalista e neorealista, diventando, fin da subito, anche per diverse vicende di cronaca, un qualificato punto di riferimento nazionale, perlomeno per quelle forze civili e culturali che hanno cercato, in vario modo, di contrastare il progressivo degrado culturale e scientifico della scuola pubblica, rilanciando l’ideale resistenziale e il connesso dettato costituzionale a favore di una scuola pubblica di qualità, in grado di porre al centro della sua azione la dimensione formativa culturale e quello della ricerca scientifica e dello studio, tutelando la legalità a qualunque livello. Per questa ragione Minazzi, da docente liceale (e anche da precario e supplente), ha sempre cercato di aprire le scuole ad un fecondo dialogo culturale col loro territorio, promuovendo numerose e qualificate iniziative pubbliche – lezioni, seminari, convegni, laboratori, incontri, tavole rotonde, presentazioni di libri, etc., etc. – in grado di valorizzare pienamente il carattere formativo, culturale, sperimentale, di ricerca e laboratoriale della scuola, coinvolgendo gli stessi studenti in vari progetti (come, per esempio, quello dedicato alla guerra di Spagna che si è poi trasformato in un innovativo volume realizzato dagli stessi studenti: Il coraggio della memoria e la guerra civile spagnola (1936-1939), edito nel 2000 che scheda biograficamente ed analiticamente tutti i volontari antifascisti italiani presenti in Spagna, fornendo un contributo originale alla ricerca storica). Così agendo Minazzi ha cercato sempre di mettere in moto anche le notevoli, e spesso sopite, risorse intellettuali dei suoi colleghi coi quali ripristinò, successivamente, la gloriosa prassi della realizzazione degli Annuari scolastici (fondando e dirigendo, per un lustro, la rivista Agorà, 1997-2001, che ebbe molteplici segnalazioni e recensioni a livello nazionale, per ottenere infine anche l’onore di essere presentata al Parlamento con l’avvallo ministeriale). Questo suo intenso impegno lo ha tuttavia ben presto posto in urto aperto con tutte le forze burocratiche, istituzionali, partitiche e sindacali che volevano, invece, una scuola sempre più asservita al potere politico, burocratizzata e sistematicamente svuotata di ogni serio contenuto culturale e formativo. Un primo episodio che lo segnalò, di primo acchito, a livello nazionale si svolse già nel 1988, in occasione dell’applicazione del nuovo Concordato stipulato dallo Stato italiano con la Chiesa cattolica. In tale occasione il caso “locale” del Liceo scientifico varesino divenne ben presto un caso “nazionale”, le cui conseguenze normative aiutarono, tempestivamente, ad applicare in modo corretto, erga omnes, le disposizioni del nuovo Concordato su tutto il territorio nazionale, vincendo la diffusa resistenza di chi non voleva cambiare nulla. In questi stessi anni Minazzi, in qualità prima di consigliere e poi di vice-presidente dell’Università Popolare di Varese (una delle più antiche associazioni culturali varesine), continuò, inoltre, ad organizzare molteplici altre iniziative, seminari e convegni di filosofia e di aperto impegno culturale e civile, volte anche a difendere apertamente la legalità nel mondo della scuola, creando insomma un circolo virtuoso tra la società civile e il mondo della scuola varesina.
Dal gennaio del 1989, in qualità di vincitore di un dottorato di ricerca in Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi di Genova (allora consorziata con le Università di Milano, Bologna e Trento), Minazzi entrò in congedo straordinario senza assegni, fino al 1992, per seguire questo dottorato quadriennale che lo mise in contatto diretto con Evandro Agazzi (suo tutor di riferimento che allora insegnava a Genova e a Friburgo, in Svizzera) e poi, grazie ad un anno di soggiorno di studio a Parigi, con Jean Petitot, allora dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales e del CREA dell’École Polytechnique. Durante questi studi Minazzi ha approfondito, in particolare, il pensiero di Galileo e la valutazione critica della sua opera nel quadro del dibattito epistemologico post-neopositivista, lavorando soprattutto presso il «Centre Alexandre Koyré» parigino e la vecchia, ma straordinaria, sede della Biblioteca Nazionale di Parigi, ovvero quella celebre del cardinale Richelieu. Da questa esperienza di studio sono nati due suoi libri, Galileo «filosofo geometra» e Il flauto di Popper, editi entrambi nel 1994, insieme ad altri due suoi libri, uno consacrato allo studio del pensiero di Preti e uno dedicato al problema della ragione, nato da un confronto diretto con Ludovico Geymonat e Carlo Sini. Del resto proprio il suo sistematico, articolato e privilegiato approfondimento critico della lezione pretiana (studiata in controluce critica con quella di Geymonat), cui ha pure dedicato differenti volumi (come L’onesto mestiere del filosofare del 1994, L’epistemologia come ermeneutica della ragione, del 1998, La passione della ragione, del 2001, Contestare e creare, del 2004, Il cacodèmone neoilluminista, del 2004, Neopositivismo y marxismo del 2006, Ludovico Geymonat epistemolog,o del 2010) ha fornito a Minazzi una chiave ermeneutica particolarmente felice per inoltrarsi criticamente e in modo autonomo ed originale entro il dibattito epistemologico contemporaneo, evitando di cadere vittima di questa o quella moda epistemologica del giorno (si pensi, per esempio, al fasificazionismo popperiano, all’anarchismo feyerabendiano, al fasificazionismo sofisticato lakatosiano, alla svolta linguista dell’epistemologia, alle tesi di Khun, etc. etc.), difendendo sempre il realismo, il razionalismo, il pieno valore culturale della tecnologia e la costante apertura alla dimensione storica del pensiero filosofico-scientifico.
Da questa sua intensa esperienza di studio e di ricerca, sono tuttavia nate anche altre conseguenze. Come si è accennato per partecipare a questo dottorato quadriennale un docente doveva allora mettersi in congedo straordinario senza assegni, passando così dal normale stipendio di un docente ad una misera borsa di studio, con un danno economico che, de facto, precludeva, in genere, agli insegnanti (con famiglia) di poter cogliere questa opportunità di approfondimento e di ulteriore qualificazione. Per questo motivo Minazzi ha svolto tempestivamente alcune considerazioni critiche relative proprio all’istituto del dottorato di ricerca che, pur prevedendo l’ammissione ai corsi anche per i docenti di ruolo della scuola superiore, nella realtà finiva però per disattendere proprio la presenza di questi docenti. Affrontando il toro per le corna Minazzi realizzò, su questo tema, una coraggiosa conversazione con l’allora Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, Antonio Ruberti, sollevando apertamente questo problema col quale incalzava il suo interlocutore, pubblicando poi questo suo intervento sul dottorato di ricerca su una rivista leader del settore come «nuova secondaria» (nel numero di febbraio del 1990). Questa rivista, nell’editoriale del direttore, sposava pienamente la proposta di Minazzi di lasciare ai docenti la possibilità di continuare a percepire lo stipendio durante lo svolgimento del dottorato, sollevando, in particolare, il problema, molto più generale, del corretto rapporto fisiologico – di studio e serio aggiornamento culturale – che doveva necessariamente instaurarsi tra gli insegnanti della scuola secondaria superiore e il mondo universitario: come realizzare un’organica collaborazione? come intendere il dovere, culturale e scientifico, degli aggiornamenti dei docenti? come riconoscere, nella scuola, i meriti connessi con la ricerca scientifica? La notorietà della rivista, la sua enorme diffusione, la chiara ed inevocabile presa di posizione del suo noto ed autorevole direttore, l’interesse oggettivo dell’intervista al ministro, fecero ben presto nascere un ampio ed articolato dibattito nel paese e nel mondo della scuola: lettere, suggerimenti di docenti, ricercatori, dottorandi, e persino, incredibile a dirsi, la tempestiva prospettazione, a livello legislativo ed amministrativo, di qualche effettivo passo onde poter modificare lo status quo legislativo. «Nuova secondaria» continuò, del resto in questa sua coraggiosa direzione, ospitando (nel settembre del 1990) altri importanti e qualificati contributi di pensatori che si muovevamo sempre in questa direzione (intervennero allora studiosi come Ludovico Geymonat, Fulvio Papi, Luigi Ambrosoli e, ancora, Minazzi che aveva creato una piccola rete fra i pochissimi dottorandi provenienti dalla scuola, sensibilizzando alcuni giornalisti e redattori culturali dei grandi quotidiani nazionali). Alla fine, sia pur coi fisiologici tempi della politica e dell’amministrazione italiana, tutta questa pressione e questo dibattito indussero ad un significativo e radicale cambiamento della normativa vigente: la proposta avanzata da Minazzi fu infatti accolta e divenne quella norma legislativa che ancor oggi consente ad un docente vincitore di un dottorato di ricerca di essere posto in congedo di studio, mantenendo però il proprio stipendio, configurando così una situazione che è unica, e molto avanzata, anche a livello europeo. Con questa modalità l’aggiornamento degli insegnanti si trasforma in una preziosa ed effettiva occasione di studio che non può che arricchire, complessivamente, lo stesso mondo della scuola e della formazione dei giovani studenti, facendo ricadere, in modo virtuoso, il serio aggiornamento dei docenti sullo stesso percorso formativo dei discenti. Ma proprio questo modello virtuoso era invece completamente inviso a chi voleva sempre più declassare la scuola, trasformandola, da autentica agenzia formativa, a mero e vuoto contenitore per l’assistenza sociale, privandolo, sistematicamente, di qualunque valore culturale. In tal modo, proprio all’interno di questo aperto contrasto di fondo tra differenti prospettive civili e sociali, si ponevano anche le premesse per una vicenda clamorosa che ben presto esplose nuovamente a livello nazionale coinvolgendo proprio, e non a caso, Minazzi.
Tutto nacque da un corso di aggiornamento in “docimologia” (?!) cui Minazzi partecipò con altri docenti del suo liceo a Varese. Quando al termine del corso (obbligatorio) fu chiesto ai partecipanti di esprimere un loro parere nel merito, Minazzi non perse l’occasione per illustrare, in modo argomentato, analitico, ragionevole ed educato, il suo giudizio complessivamente negativo, proprio perché non aveva imparato nulla da un corso meramente burocratico, predisposto dalla scuola con relatori istituzionali (presidi, ispettori e dirigenti vari) di scarso o nullo spessore culturale, che si era quindi configurato, complessiva, come un’inutile perdita di tempo e di denaro pubblico. Il che rinviava proprio a quella Jurassic School di cui aveva allora parlato il Corriere della sera (il 5 dicembre 1993): «dopo trent’anni di riforme mancate, i nostri licei sono il regno della mediocrità, del livellamento burocratico. L’apoteosi degli ignoranti e degli scansafatiche», anche perché «la rigidità dell’amministrazione, la sua incultura, fanno sì che il tempo speso per l’aggiornamento [quello vero, fatto di studio e ricerca, non quello burocratizzato che spesso si riduce ad una farsa di pseudo-aggiornamento, ndr.] venga considerato tempo perso. La scuola italiana è una sconfitta dell’intelligenza». Sollevando questo decisivo problema di fondo – che registrava (e registra) la contrapposizione frontale tra chi vuole praticare un vero aggiornamento, fatto di studio e seria ricerca scientifica e chi, invece, trasforma l’aggiornamento in una miserabile occasione burocratica, puramente formale, priva di un valido contenuto culturale, onde poter arraffare misere manciate di risorse pubbliche (spesso organizzando iniziative atte solo a favorire i propri sodali e i soliti noti) -, Minazzi finì, naturalmente, nell’occhio del ciclone. Il suo dirigente scolastico, un tipico burocrate siculo autocrate pre-moderno, basandosi, scorrettamente, su dei relata refero di alcuni suoi sodali, scrisse subito una lettera ufficiale di biasimo a Minazzi, in cui lo accusava di svilire lo sforzo dell’amministrazione. Lettera cui Minazzi replicò, per scripta,ricordando tutte quello che aveva sempre fatto, in positivo, costruttivamente e concretamente, per la scuola, concludendo che criticare apertamente la scuola e il suo degrado costituisce la premessa necessaria per tentare di migliorarla. Apriti cielo! Di fronte alla sua argomentata ed analitica risposta il preside, avvalendosi di una normativa fascista concernente l’«incompatibilità ambientale» (norma che era stata introdotta ed usata sistematicamente dal regime fascista per rimuovere i docenti ritenuti “scomodi”), richiese al Provveditore l’apertura di un formale provvedimento disciplinare finalizzato a rimuovere Minazzi dal suo insegnamento dal liceo varesino. Seguirono così molteplici visite ispettive e varie indagini (ministeriali, regionali e provinciali) dalle quali non emerse, tuttavia, mai alcun addebito da poter muovere al docente, il quale aveva sempre svolto tutti i suoi doveri in maniera inappuntabile e con grande rigore, professionale e deontologico. Alla fine il Provveditore fu costretto a comunicare ufficialmente a Minazzi, con gran disdoro del preside, l’archiviazione del procedimento a suo carico, ma lo fece, tuttavia, invitandolo anche a studiare di meno: «i fatti accaduti sono stati originati e/o ingigantiti – scriveva il Solerte funzionario (che tale era anche di nome!) – in conseguenza dello stato di stress cui la S. V. si sottopone da qualche anno per realizzare la copiosa produzione scientifica che costituisce il Suo “fiore all’occhiello”» [sic]. Questa risposta istituzionale rappresentò, naturalmente, un “invito a nozze” per la stampa nazionale: il Corriere della sera, con un articolo a piena pagina, di sei colonne, firmato da Riccardo Chiaberge, iniziò le danze e dette subito risonanza nazionale a questa incredibile vicenda, con l’articolo Professore, insegni e non studi. Docente di filosofia in un liceo di Varese, allievo di Geymonat, accusato d’eccesso di attività intellettuali. Apparso il 5 luglio 1994, in pieno svolgimento degli esami di maturità, questo articolo ebbe una fortissima eco, soprattutto nel mondo della scuola, in quello degli studi e dell’università, mentre, contestualmente alla sua uscita, Minazzi ricevette molte lettere e telefonate di piena solidarietà da mezza Italia (il primo a chiamarlo fu un filosofo come Giuseppe Semerari, da Bari, alla cui rivista Paradigmi Minazzi collaborava da tempo). In tal modo il ridicolo finì per seppellire i travet di questa vicenda la quale, a livello locale, aveva naturalmente generato, come sua fisiologica conseguenza (“ad ogni forza corrisponde sempre una reazione”) un’inevitabile ed impegnativa battaglia civile e culturale, alla fine della quale l’acuto dirigente che aveva promosso questa persecuzione fu messo nella condizione di abbandonare definitivamente la scuola italiana…
Questa vicenda “locale” si inseriva del resto in quel ben più ampio e complesso dibattito critico nazionale, svoltosi soprattutto nel corso degli anni Novanta, a proposito delle prospettive di riforma della scuola italiana, che vide Minazzi – insieme ad un nutrito, qualificato e agguerrito gruppo di docenti come Dario Generali, Tiziano Tussi ed Alberto Biuso (che collaborarono poi tutti ad una combattiva rivista di studio sulla scuola come il Voltaire, 1999-2001) – come protagonisti e primi promotori di varie iniziative, pubbliche e nazionali, di studio, ricerca e riflessione sulla scuola, variamente finalizzate a denunciare analiticamente il complessivo e sempre più progressivo degrado dell’istituzione scolastica, onde contrastarlo, positivamente e costruttivamente, con una ricca serie di proposte culturali, di studio, ricerca e riforma, pur assai differenziate e assai diversificate. Traccia di queste iniziative, perlomeno in relazione all’attività di Minazzi, si ritrovano nei suoi volumi Il cono d’ombra (1991), Dal giardino all’agorà (1993), Il sapere per la società civile (1994), Per il futuro della scuola italiana (1995), La scuola italiana tra delusione e utopia (promosso con D. Generali, 1996), Lezioni sul Novecento (1997), Etica e medicina (1997), Socrate bevve la maieutica e morì. Quale futuro per la scuola italiana? (1997), La scrittura filosofica (2000), Ex pumice aquam? (2009) e, naturalmente, nei cinque impegantivi volumi della rivista-annuario Agorà (1997-2001) promossa da Minazzi, non a caso, a chiusura di questa sua non facile, ma vittoriosa, battaglia civile. Non per nulla, proprio nel 1994, Minazzi fu poi cooptato da un’ispettrice ministeriale di filosofia e storia come la nota e serissima Anna Sgherri (anche in questo caso vale infatti il detto medievale nomen homen) nel progetto ministeriale nazionale della Città dei Filosofi il quale, avendo come suo quartiere generale il Liceo Classico “Ariosto” di Ferrara, per circa una decina di anni sviluppò molteplici e qualificati seminari residenziali per elaborare nuovi ed alternativi progetti didattici e culturali, elaborazioni cui Minazzi partecipò, da allora, sempre attivamente e stabilmente, fino al 2001. Sempre in questi stessi anni Novanta Minazzi fu anche chiamato a far parte della Commissione Nazionale per la Didattica della Filosofia (1996-2000), voluta e presieduta dallo stesso Ministro Luigi Berlinguer, che operò proprio nel senso di trasformare l’insegnamento della filosofia in un diritto di cittadinanza diffuso in ogni ordine e grado di scuole.
Terminato il dottorato Minazzi ha naturalmente continuato a studiare, approfondendo le sue ricerche, cercando anche di trovare una collocazione stabile nel mondo universitario, onde poter meglio sviluppare i suoi progetti di ricerca e studio. Progetti che ruotavano attorno ad un preciso programma di ricerca filosofico-scientifico finalizzato a sviluppare, come si è accennato, proprio l’epistemologia storico-critica e realista intesa quale ermeneutica della ragione (come suona il titolo di un suo volume già ricordato del 1988, poi riapparso, in una nuova seconda edizione in francese, L’épistémologie comme herméneutique de la raion, nel 2006 con una Préface di Jean Petitot). Questo suo progetto, che trae le mosse da un autonomo ripensamento della riflessione di Preti, di Geymonat e di Dal Pra e della stagione del neoilluminismo, delinea un razionalismo critico che si basa su una ragione analitica trascendentale, finalizzata a ricostruire le differenti “ontologie regionali” che contraddistinguono i diversi ambiti disciplinari. Come emerge dalle pagine del suo libro Teleologia della conoscenza ed escatologia della speranza. Per un nuovo illuminismo critico, del 2004, la proposta di Minazzi sottolinea l’opportunità di elaborare un nuovo illuminismo, critico, aperto, costruttivo e realista, in grado di tener conto della complessa articolazione del razionalismo critico europeo del Novecento, senza tuttavia cadere vittima del diffuso ostracismo comminato alla tradizione del trascendentalismo kantiano. In questa chiave ermeneutica la ripresa della distinzione kantiana tra Vertand e Vernunft viene sviluppata e ripresa in un orizzonte problematico, in grado di recuperare sia la lezione del primo Husserl, sia anche l’attenzione alla filosofia analitica, senza però condividere alcun empirismo radicale e difendendo sempre l’opportunità di sviluppare una nuova, più agguerrita, forma di realismo critico (cui Minazzi ha dedicato un volume nel 1993, Realismo senza dogmi, essendosi già confrontato su questi temi con Geymonat e Giorello ne Le ragioni della scienza, del 1986, sia con Geymonat ed Agazzi, nel 1989 con il volume dialogico Filosofia, scienza e verità, per non tacere poi del confronto che aveva svolto anche con uno studioso solitario, ma emblematico, come Valerio Tonini nel volume, sempre del 1989, La storia dell’uomo e la realtà della natura) e un profondo ripensamento del problema dell’oggettività della conoscenza scientifica (cui Minazzi ha dedicato vari volumi, da quello a più voci e collettivo, da lui coordinato, L’oggettività della conoscenza scientifica, del 1996, a Le saette dei tartari, del 2004, al più recente Suppositio pro significato non ultimato del 2011, in cui discute, analiticamente, la proposta inedita del neorealismo logico pretiano, riprendendo il realismo empirico kantiano). Lungo questo orizzonte ermeneutico Minazzi ha poi approfondito la tradizione concettuale del razionalismo critico e del realismo, dedicando numerosi studi di approfondimento ad altri esponenti del razionalismo critico europeo del XIX e del XX secolo (da Carlo Cattaneo a Banfi, Martinetti, Vailati alla “scuola di Milano, prendendo in considerazione sia la nobile tradizione della civiltà quale milizia, sia anche le più tragiche pagine della storia contemporanea che hanno cercato di rimuovere ogni barlume di razionalità critica, come è accaduto col nazismo e i campi di sterminio cui Minazzi ha dedicato un volume, Filosofia della shoah, per pensare filosoficamente Auschwitz, partecipando e promuovendo anche diversi convegni su questo tema).
Mentre sviluppava, nel corso degli anni, questo suo autonomo e sempre più articolato programma filosofico di ricerca e di riflessione teoretica, storica ed epistemologica, partecipò, naturalmente, a diversi concorsi pubblici: ad un concorso di Filosofia della scienza per associati, svoltosi a Roma nel 1990 (in cui non fu preso in considerazione anche se a seguito della sua lectio si svolse una sua vivace discussione con un commissario come Marco Mondadori a proposito del pensiero di Galileo che il secondo mostrava di non conoscere, pur volendo, tuttavia, pontificare…), poi ad un concorso per una borsa di studio post-dottorato all’università di Milano (del 1995, nel quale, malgrado – o, forse, a causa dei suoi già numerosi e qualificati titoli scientifici, Minazzi non fu minimamente preso in considerazione, vedendosi così superato da candidati scientificamente molto più deboli…). Come, analogamente, non fu preso in alcuna considerazione neppure ad un concorso per ricercatore dell’università di Torino (nel 1994), al punto che, alla fine, decise, erroneamente, di non presentarsi ad un concorso per ricercatore bandito dall’università di Bologna (nel 1995), perché gli sembrava che oramai tutto fosse già deciso, prima ancora di bandire questi concorsi-farsa che risultavano essere sempre ben “pilotati” dai soliti noti. Il che li differenzia profondamente dai pubblici concorsi per accedere all’insegnamento medio nelle scuole nei quali, in genere, i raccomandati esistono, ma si collocano sempre nella parte medio-bassa, o bassissima, delle graduatorie, mentre nei concorsi universitari finiscono per conseguire i posti a disposizione. Anche questa consapevolezza critica fu conquista solo nel corso degli anni, partecipando a questi concorsi nei quali, a volte, si trovava di fronte anche a commissari con un curriculum scientifico assai meno significativo del suo. In ogni caso, non smettendo mai di studiare e produrre, continuò sempre a partecipare a nuovi concorsi, passando a livelli progressivamente sempre più elevati, a misura che la sua produzione sceintifica cresceva. Così risultò nuovamente tra i “trombati” al concorso per associati di Filosofia della scienza di Genova del 1996 (nel corso del quale un uomo e uno studioso come Silvano Tagliambe – nomen homen? – attuò un completo voltafaccia, negando a Minazzi quell’appoggio scientifico che pure gli aveva precedentemente assicurato). E “trombato” fu pure in un concorso per associati di Filosofia teoretica di Genova del 1999 (nel corso del quale, dopo la lectio, fu veementemente aggredito, verbalmente – per la verità insieme ad altri candidati, ovvero quelli dal profilo scientifico particolarmente solido e qualificato – da un commissario improbabile come Giorgio Scrimieri, il che indusse il Presidente della commissione, uno studioso come Silvestro Marcucci, a scusarsi per questo comportamento, anche se poi, proprio a causa dell’aggressività di questo commissario, lo stesso Presidente fu colto da un malore cardiaco e dovette essere ricoverato all’ospedale: fu salvato solo dalla prontezza di spirito di un docente come Domenico Conci…).
Un po’ di luce al suo orizzonte iniziò tuttavia ad intravvedersi proprio nel 1999, quando Minazzi partecipò ad un concorso internazionale, per titoli ed esame, indetto dall’Università della Svizzera Italiana per un posto di docente incaricato di Filosofia presso l’Accademia di architettura di Mendrisio. In questo caso si partecipava a questo concorso inviando una selezione dei propri titoli, allegando un curriculum e tre lettere di presentazione di alcuni studiosi (nel caso di Minazzi furono predisposte da Agazzi, Papi e Petitot) che attestavano, sotto loro pubblica responsabilità, il valore del candidato. Successivamente la commissione selezionava i candidati: quelli prescelti (in questo caso furono tre) dovevano sostenere un colloquio con una Commissione presieduta dal Direttore dell’Accademia di Mendrisio di allora, l’architetto Aurelio Galfetti. Al termine di questa procedura Minazzi ottenne l’incarico – per cinque anni – quale docente di Filosofia (in particolare di Filosofia della scienza, poiché proprio questo insegnamento interessava strategicamente all’Accademia) per il terzo e quarto anno dell’Accademia di architettura di Mendrisio. Questo successo, per quanto parziale e limitato, consentì comunque a Minazzi di poter iniziare ad insegnare in una struttura universitaria coinvolgente come l’Accademia voluta ed ideata dall’architetto Mario Botta (cui dedicò, poi, anche un libro, scritto a quattro mani con uno storico dell’arte di vaglia come Rolando Bellini, Mario Botta per Borromini: il San Carlino sul lago di Lugano, edito nel 2000). Questa Accademia si rivelò essere un laboratorio affatto straordinario, nel quale poter avviare un proficuo confronto interdisciplinare che Minazzi approfondì subito, collaborando soprattutto con i docenti di matematica, ecologia, fisica, ingegneria e, naturalmente, con quelli di architettura. Nel corso di questa intensa esperienza culturale ad un certo punto fu anche chiesto a Minazzi di diventare direttore responsabile del Centro di documentazione dell’Accademia di architettura, proprio per aiutare questa nuova istituzione universitaria a dotarsi di una sua propria offerta editoriale rigorosa ed adeguata ai suoi programmi di studio e di ricerca. Anche in questa occasione Minazzi prese a cuore questo suo nuovo incarico lavorando pressoché a tempo pieno allo sviluppo di questo Centro di documentazione e all’incremento dell’offerta formativa dell’intera Accademia di architettura, promuovendo mostre, lezioni, seminari, simposi e differenziati cicli di conferenze (sull’architettura, ma anche sulla filosofia, la storia, la scienza, la letteratura, l’arte, etc., invitando qualificarti studiosi nonché alcuni premi Nobel).
Tuttavia, pur appassionandosi a questo suo nuovo incarico direttivo, e anche alla docenza di filosofia della scienza per i futuri architetti, Minazzi cercava però di non perdere mai di vista i concorsi universitari italiani. Anche perché, pur a fronte del suo precedente e certamente non facile iter concorsuale, Minazzi continuò, comunque, a studiare e a pubblicare regolarmente, mosso soprattutto dalla convinzione (e anche dalla legittima speranza) che, infine, avrebbe pur trovato una commissione meno compromessa con le tradizionali prassi spartitorie, proprie e tipiche di una cultura accademica italiana, alquanto degenerata, quando non anche apertamente corrotta e al di fuori di ogni pubblico e serio controllo. Poteva sperare in un tale felice esito anche perché quando Tagliagambe lo abbandonò improvvisamente, nel corso dello svolgimento del concorso del 1996, questo suo comportamento era stato giudicato molto negativamente da alcuni altri docenti della comunità degli studiosi, al punto che un filosofo come Evandro Agazzi ebbe la sensibilità di comunicare personalmente a Minazzi che, in qualche modo, avrebbe comunque cercato di rimediare al torto che gli era stato inflitto, deliberatamente e gratuitamente, in quella occasione. In tal modo si creavano le ragionevoli premesse per augurarsi di poter infine affrontare un nuovo concorso con maggiori speranze. Il che infine accade, in occasione di un concorso di prima fascia in Filosofia teoretica, indetto dalla sezione di Arezzo dell’Università di Siena, nel 2001. Per ironia della sorte in questo concorso i commissari erano quasi tutti cattolici dichiarati e particolarmente convinti – l’unico laico era Maro Trinchero, uno dei pochissimi allievi di Geymonat che Minazzi non aveva mai conosciuto di persona. Pertanto al laico Minazzi capitò così il singolare paradosso di essere infine giubilato e ritenuto idoneo per l’insegnamento di prima fascia in Filosofia teoretica proprio da una commissione formata, in prevalenza, da giudici cattolici (onesti) e grazie all’appoggio di Agazzi che, in tal modo, gli riferì di aver anche voluto restituire a Geymonat l’appoggio che lui stesso aveva avuto per andare in cattedra.
Conseguita l’idoneità di prima fascia, su consiglio di una sua anziana amica come Maria Corti, Minazzi rispose ad un bando per un posto di Filosofia teoretica messo a concorso dall’Università degli Studi di Lecce. Maria Corti, consigliandolo di rispondere a questo bando, gli disse di farlo senz’altro, sottolineando, tuttavia, come, perlomeno a suo avviso, che aveva insegnato per alcuni anni nel Salento, Lecce fosse «una città dolce, anche se fascista». Minazzi partecipò così a questo bando e fu infine chiamato, nel novembre del 2001, nell’ateneo salentino, anche se poi si rese ben presto conto come la sua chiamata fosse in realtà scaturita da un bando pubblico che era stato promosso dalla Facoltà di Lettere e Filosofia proprio per impedire a quello stesso Scrimieri (che aveva già “conosciuto” a Genova, e che era oramai prossimo alla pensione) di non pregiudicare, nuovamente e per molti anni, l’insegnamento di Filosofia teoretica nell’ateneo leccese, affidandolo ad una sua cara allieva ricercatrice. Ma, proprio per questo motivo, del tutto interno alla storia accademica dell’ateneo salentino, Minazzi, con il suo stesso arrivo a Lecce, fu ben presto coinvolto da un improbabile e assai avventato procedimento giuridico intentato da Scrimieri (e dalla sua cara ricercatrice) contro la sua chiamata. Minazzi fu così investito da due complessi, e certamente non agevoli, procedimenti giuridici, promossi e voluti da Scrimieri. In prima battura Scrimieri riuscì a conseguire una curiosa (e, giuridicamente improbabile) sentenza a lui favorevole, da parte del Tar di Lecce (noto per alcune di queste simpatiche sentenze). In ogni modo questa sentenza del Tar di Lecce fu poi completamente ribaltata e radicalmente affossata da una superiore sentenza del Consiglio di Stato di Roma, con la quale si stabilì la piena correttezza, formale, giuridica e sostanziale, della chiamata universitaria di Minazzi a Lecce (anche la seconda causa finì per essere affossata, questa volta sia dal Tar di Lecce, sia dal Consiglio di Stato di Roma). In ogni caso questi due procedimenti amministrativi – che si conclusero entrambi con la piena vittoria di Minazzi – costituirono, complessivamente, una assai poco simpatica (ed esosissima) “tassa di soggiorno” pagata da Minazzi (pagata sempre con assegni, senza tuttavia mai ricevere alcuna ricevuta…) per esercitare, legittimamente, il proprio diritto a poter insegnare, quale vincitore di un pubblico concorso, nell’ateneo leccese. Inutile ora aggiungere come nel corso di questo procedimento Minazzi sia stato anche oggetto di varie ed indebite pressioni (lettere anonime, minacce telefoniche, appostamenti et similia puntualmente denunciati alla competente autorità che, tuttavia, non fece praticamente nulla), con cui si cercò variamente di intimidirlo e ricattarlo, onde farlo infine recedere dal difendersi pubblicamente in una causa che si sapeva che si sarebbe risolta a sua favore, giacché la normativa vigente era chiara ed inequivocabile. Di fronte a queste sgradevoli pressioni indebite (che gli hanno consentito di meglio conoscere, di prima mano, la grave e diffusa corruzione civile e culturale largamente presente e diffusa nel Sud d’Italia) a Minazzi non rimaneva che sperare che ci fosse “un giudice a Berlino” (ovvero a Roma!). In questo non facile clima psicologico, Minazzi ha tuttavia sempre evitato, ex abrupto, di prendere in considerazione queste “alcinesche seduzioni”, attenendosi sempre alla normativa vigente (per esempio a seguito della prima sentenza del Tar che lo ha sospeso, per alcune settimane, dall’insegnamento, settimane che ha puntualmente recuperato quando arrivò la tempestiva sospensiva del Consiglio di Stato). Ha quindi perseverato nell’iter giudiziario che, alla fine, non ha potuto che confermare la correttezza di tutto il procedimento amministrativo che lo riguardava. Tuttavia questo è stato, in ogni caso, il simpatico “biglietto da visita” con cui una città come Lecce, e il suo ateneo, hanno accolto questo “immigrato” (alla rovescia) che dal profondo Nord si era trasferito nel profondo Sud per lavorare in università, a seguito della regolare vincita di un pubblico concorso. Senza neppure aggiungere che mentre Minazzi era a Lecce a Milano non mancava neppure chi si compiaceva, apertamente, del suo essere stato “confinato” sotto Eboli… D’altra parte va tuttavia ricordato come alcuni colleghi del corso di laurea di Filosofia dell’ateneo leccese si siano invece prodigati, e subito “fatti in quattro”, per aiutare, assai generosamente, Minazzi in questo certamente non facile frangente, mentre anche gli studenti leccesi si schierarono subito in aperta difesa di questo loro nuovo docente di Filosofia teoretica. Tra luci ed ombre era così possibile resistere meglio, anche nel Salento, a questa non facile situazione. Quindi, in definitiva, pur iniziando la sua carriera universitaria ufficiale dovendo affrontare questa non facile e spinosa vertenza giuridica, tuttavia Minazzi si dedicò, fin dalle sue prime lezioni, iniziate nel novembre del 2001, al lavoro universitario quotidiano con la consueta dedizione, creando ben presto attorno al suo magistero un vasto interesse. Non solo: la possibilità di poter finalmente lavorare in università, in una tradizionale Facoltà di Lettere e Filosofia, ha gli ha anche consentito di meglio dispiegare sia il suo stesso programma di ricerca filosofico, sia anche di meglio realizzare tutte le potenzialità connesse con la diffusione sociale della filosofia nei territori coinvolti dalla presenza di un ateneo storico come quello di Lecce. Il che spiega perché Minazzi, fin dai suoi primi anni dell’insegnamento salentino abbia anche iniziato ad organizzare sia nell’Università degli Studi di Lecce, sia nell’intero territorio salentino, molteplici iniziative culturali e molti convegni, cicli di conferenze, seminari, tavole rotonde, dibattiti e diverse e varie lezioni pubbliche, con le quali ha naturalmente cercato di coinvolgere nuovamente il mondo della scuola salentina, onde favorire una più diretta osmosi tra l’università e il suo territorio di riferimento. Così non solo ha organizzato dei Seminari Salentini di Filosofia, che si svolgevano all’interno dell’università, portando a Lecce differenti e qualificati studiosi, italiani ed europei, di varia impostazione teorica, ma ha anche dato vita, nei pressi di Lecce, a dei Seminari di Filosofia di Copertino (poi denominatisi Intèllego) che si tenevano, con periodica regolarità, nello straordinario contesto del Castello di questa cittadina salentina, sede nella quale, ancor oggi, si organizzano questi seminari, che sono oramai giunti al loro quattordicesimo anno di ininterrotta attività. Questi seminari erano, e sono, rivolti soprattutto a tutta la società civile salentina, proprio per ricreare, sul territorio, un pubblico laboratorio di pensiero e di confronto, in grado di far dialogare differenti settori della società e del mondo della ricerca scientifica sui problemi più aperti e controversi del nostro tempo.
In questo quadro di attiva collaborazione tra il mondo universitario e quello della scuola Minazzi ha anche ideato e varato a Lecce il progetto dei Giovani Pensatori che proprio nel Salento ha svolto le sue primissime attività, coinvolgendo molte scuole, onde favorire un diverso approccio allo studio della filosofia, ponendo l’accento non tanto sulla storia del pensiero filosofico, quanto sulla dimensione teoretica della filosofia, favorendo, insomma, uno studio in cui il giovane è spronato non tanto a studiare, passimavente e/o mnemonicamente, la filosofia (idest a ripetere pedissequamente quanto è stato pensato dai grandi filosofi), ma è invece invitato, kantianamente, a cercare di filosofare per pensare, con la propria testa (sapere aude!), i suoi problemi, avvalendosi di tutte le categorie concettuali che la tradizione occidentale gli pone a disposizione. I testi Insegnare a filosofare. Una nuova didattica della filosofia per scuole e società democratiche, del 2004, Knowledge in making. Dialoghetto preliminare sul discorso filosofico nella pratica dell’insegnamento del 2005 e Sapere aude! Discutendo si impara a pensare (2005), documentano quanto è stato realizzato nel Salento con questo progetto dei Giovani Pensartori. In tal modo gli otto anni di attività universitaria svolti da Minazzi a Lecce sono passati in un rapido batter di ciglia, mentre il numero degli studenti che via via si sono iscritti, durante questi anni, al corso di laurea in filosofia, sono costantemente aumentati, facendo registrare un incremento significativo. Sempre nel quadro di queste attività Minazzi ha anche organizzato a Lecce (e poi anche a Copertino) alcuni convegni e seminari nazionali ed internazionali, tra i quali merita di essere ricordato perlomeno quello consacrato a Scienza ed etica. Contesti axiologici della scienza svoltosi il 16-19 ottobre 2004, con il coinvolgimento diretto dell’Académie Internationale de Philosophie des Sciences di Bruxelles e anche dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses della medesima città belga. Minazzi diventò poi socio corrispondente di questa prestigiosa Académie Internationale de Philosophie des Sciences nel 2006 per poi essere infine eletto suo socio effettivo nel 2007. Mentre era a Lecce Minazzi ha anche fatto rinascere una nuova serie della storica rivista di filosofia e cultura Il Protagora, fondata a Roma, nel 1959, da Bruno Widmar (il quale ha svolto tutta la sua carriera universitaria insegnando però presso l’ateneo salentino).
Nell’autunno del 2008 Minazzi è stato chiamato ad insegnare Filosofia teoretica presso la Facoltà di Scienze Naturali, Matematiche e Fisiche di Varese dell’Università degli Studi dell’Insubria. Presso questo ateneo insegna nell’ambito del corso di laurea triennale in Scienze della comunicazione e in quello magistrale di Scienze e Tecniche della comunicazione anche se ha svolto alcune lezioni di epistemologia per gli studenti di biologia e di medicina e in vari dottorati. Nell’università insubre Minazzi ha naturalmente trasportato anche tutta l’esperienza pregressa del progetto dei Giovani Pensatori. Tuttavia, nel momento in cui ha sviluppato nel territorio insubrico questo suo progetto, lo ha ripensato e riplasmato variamente, potendosi peraltro giovare di una più capillare conoscenza del territorio varesino, nonché dello stesso mondo della scuola varesina, nelle cui file, come si è visto, ha precedentemente insegnato e lavorato per diciassette anni. In tal modo, nel giro di pochi anni, si è creato a Varese un cospicuo gruppo di docenti che collaborano stabilmente a questo progetto – giunto oramai alla sua settima edizione insubrica – che ha saputo coinvolgere moltissimi studenti e differenti scuole, da quelle primarie a quelle inferiori, dai differenti licei a tutte le scuole superiori, attivando, quindi, non solo le scuole dove è presente, istituzionalmente, un insegnamento della filosofia, ma anche quelle in cui tale insegnamento è assente. In tal modo la filosofia quale diritto di cittadinanza costituisce il cuore di un progetto che negli ultimi anni ha saputo coinvolgere anche gli studenti diversamente abili.
Inoltre, a partire dalla primavera del 2010, Minazzi ha fondato e diretto il Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti” per la Filosofia, l’Epistemologia, le Scienze cognitive e la Storia della Scienza e delle Tecniche che in un lustro di attività ha raccolto – per donazione – una gran quantità di Archivi e anche di Biblioteche d’Autore di filosofi ed intellettuali connessi alla “scuola di Milano” e alla sua straordinaria storia. In questo Centro Internazionale Insubrico si conservano così gli archivi di filosofi come Giulio Preti, Carlo Cattaneo, l’archivio segreto di Antonio Banfi, quello di una potessa (e grande fotografa) come Antonia Pozzi, di Italo Bertoni, insieme a carte assai significative di studiosi come Guido Morpurgo-Tagliabue, Giovanni Vailati, Vittorio Sereni, cui si sono infine aggiunti anche gli Archivi di filosofi viventi come Evandro Agazzi, Fulvio Papi e Carlo Sini. Questi Archivi si affiancano ai circa 13.000 volumi delle differenti Biblioteche d’Autore che sono analogamente pervenute per donazione (tra queste Biblioteche si segnalano quelle di Antonia Pozzi, Guido Bersellini, Domenico Spinella, Aurelia (Lella) Monti, Bruno Widmar, Giulio Preti, Evandro Agazzi, Gabriele Scaramazza, etc.). Sempre prendendo le mosse dalle attività scientifiche del Centro Internazionale Insubrico, sono stati inoltre organizzati una nutrita serie di simposi internazionali che hanno considerato alcune delle più eminenti personalità della storia del razionalismo critico italiano, con particolare riferimento alle vicende della “scuola di Milano”, dedicando così spazio a pensatori come Giulio Preti (2011), Carlo Cattaneo (2012), Antonio Banfi (2013), Mario Dal Pra (2014) nonché al quadro complessivo del razionalismo critico europeo nel corso del Novecento (2015). In tal modo questo Centro Internazionale Insubrico si è trasformato nel punto di riferimento scientifico più qualificato per l’approfondimento critico dello stesso programma di ricerca filosofico-scientifico perseguito da Minazzi nel corso della sua attività di studio. Così, nel giro di una manciata di anni, sono stati promosse e pubblicate alcune decine di volumi – di Minazzi, dei suoi allievi, dei suoi collaboratori e di altri studiosi di molpteplice provenienza – con i quali si sono variamente approfonditi differenti aspetti di questo articolato progetto di ricerca che vuole scandagliare le molte movenze – teoriche, storiche, epistemologiche e civili – della tradizione del razionalismo critico europeo, lombardo e milanese.
Dal 2013 Minazzi è stato nominato Presidente sia del Corso di laurea triennale in Scienze della comunicazione, sia del corso di laurea magistrale in Scienze e Tecniche della comunicazione. Con questo suo incarico, oltre ad aver subito contribuito ad organizzare il corso con un maggior rigore concernente il rispetto delle regole e dei regolamenti universitari, si è anche adoperato per rafforzare l’integrazione tra il piano delle lezioni teoriche con l’aspetto laboratoriale direttamente connesso con la pratica del giornalismo e della comunicazione, chiamando così a collaborare al corso di laurea molti giornalisti, direttori di testate giornalistiche (televisive, radiofoniche, multimediali, etc. etc.), esponenti degli uffici stampa, etc.. Questa felice integrazione tra l’aspetto teorico e quello pratico-laboratoriale del corso di laurea ha suscitato notevole interesse da parte degli studenti al punto che, allo stato attuale, questo corso di laurea magistrale è diventato il primo corso magistrale del Dipartimento di Scienze Teoriche ed Applicate cui afferisce.
A conclusione di questo profilo biografico si può ricordare come Minazzi, oltre ad aver fatto parte del Comitato di lettura di «Oltrecorrente» (dal 2000 al 2007, anno della sua chiusura), faccia anche parte dei Comitati scientifici delle seguenti riviste di studio: «Post-filosofia. Rivista di pratica filosofica e di scienze umane» (dalla sua fondazione, 2005, ad oggi), dei «Quaderni Materialisti» (dalla sua fondazione, 2002, ad oggi), di «Arkete. Rivista di studi filosofici» (dalla sua fondazione, nel 2006, ad oggi), mentre è socio corrispondente dell’«Accademia Pugliese delle Scienze» (dal 2002) e ha collaborato, e collabora, a diverse testate giornalistiche e periodiche, locali, nazionali ed estere, avendo anche collaborato, nel corso degli ultimi trent’anni, a diversi programmi culturali della Radio Svizzera di Lingua italiana di Lugano. Nel 2000 è stato insignito della Medaglia d’oro AICVAS per la ricerca e l’insegnamento, nel 2001 ha conseguito il Premio Omegna per la saggistica (sezione scaffale), mentre nel 2010 gli è stato assegnato, da una giuria internazionale, il secondo premio dell’Edimburg Gadda Prize promosso dall’Università di Edimburgo. Molti suoi testi e studi sono apparsi e/o tradotti nelle principali lingue (francese, tedesco, spagnolo, inglese e cinese), mentre le sue pubblicazioni registrano un centinaio di volumi e cinquecento saggi e studi vari. Dal 3 agosto 2015, su sua istanza approvata dal Cun, ha infine cambiato settore disciplinare, passando da Filosofia teoretica a Filosofia della scienza, ovvero al settore in cui si era formato e all’interno del quale, come si è visto, ha sempre lavorato fin dal suo esordio nel mondo degli studi.
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